Racconti


La panchina di Maria

Ci sono persone che abitano le nostre vie ma non hanno una dimora. Il racconto di un incontro pieno di umanità. (foto di Giuseppe Vitale)
(Paola Colombini)


 

 

Via Morgagni a fine inverno è bella come un boulevard di Monet. Di notte il nostro viale ha sfumature verdi e oro, canti d’uccelli e scricchiolii di rami. Quella sera Ivan batteva la terra inseguendo odori, la macchia fulva del suo pelo si abbassava nell’erba guidata dall’istinto del cacciatore. La ricerca lo portò a una panchina, l’ultima in fondo alla piazza alberata. Vi sedeva su un lato una signora, composta e attenta ai movimenti del cane: accanto, sacchetti e un borsone pieni di chissà cosa. Ivan la sfiorò e lei allungò la mano simulando una carezza. Iniziò così l’amicizia con la donna che chiamerò Maria.

 

“Mi scusi...” dissi, e a gesti richiamai il cane.

Maria stava chiusa dentro a una giacca a vento blu che le copriva le ginocchia, la sporcizia non riusciva a nascondere la bellezza della sua persona e rendeva ancora più indecifrabile l’età, com’è per tutti gli abitanti della strada.

“Lui si chiama Ivan, io Paola. E lei?”

Maria divenne impenetrabile, il suo sguardo dolce – di una dolcezza intrigante, come avrei scoperto col tempo – si fece vuoto: non era più con noi.

 

Se vivi con un cane diventi abitudinario. E dunque rieccoci in fondo alla piazza e a quella panchina. Ivan si avvicinò deciso e appoggiò il muso sulle gambe di Maria.

“Posso sedermi? sono stanca di camminare.” Il cane si accucciò ai nostri piedi. Rimanemmo in silenzio, a tratti gli sguardi di Maria si facevano largo nell’assenza. Pensai a come fosse strano condividere tra sconosciuti così diversi un’ora di pace. Quando mi alzai, la donna accennò un saluto. “Buonanotte, a domani!” dissi trascinandomi dietro Ivan, che avrebbe preferito rimanere lì a sonnecchiare.

Di domani ne sono venuti tanti, dopo quella notte. La panchina di Maria divenne il nostro approdo serale.

 

“Cos’hai fatto oggi?” La domanda improvvisa e così assurda nella familiarità quotidiana aprì una finestra sul suo mondo. Quella notte Maria iniziò a raccontare.

“Sono stata a casa con i bambini, loro giocavano nel cortile e noi mamme cucinavamo, poi abbiamo mangiato tutti insieme. I bambini si sono divertiti tantissimo...” Maria aveva voglia di vivere e di rivelare una fiaba.

Ho scoperto così che Maria racchiudeva risate infantili, chiacchiere tra donne, dolci e pane da infornare, lenzuola da stendere al sole, stanze ombreggiate dove addormentare i più piccini, ragazzini da accudire nei giochi, incombenze familiari, progetti... “Domani cucinerò io, i bambini hanno sempre fame...”, rideva con gli occhi e poi il volto si apriva nel sorriso. Ma non era rivolto a me: la risucchiava. Era una donna molto indaffarata.

Gli uomini apparivano in fugaci e indistinte annotazioni, sempre in altri luoghi come sfondo inerte e di insignificanza emotiva. I figli delle donne, nel mondo di Maria, non hanno padre. “Quanti bimbi hai?” Il sipario si chiuse su di noi.

Imparai a non fare domande. O meglio, chiedevo dettagli e la invogliavo a raccontare di più e ancora di più, ma guai a uscire dalla luce della sua narrazione per riportarla al buio reale della notte. Morgagni è bella, ma non per tutti.

 

Vennero l’estate e il caldo. La piazza e il viale alberato sembravano ancora più affascinanti nella solitudine di Milano, lo spazio era dilatato senza auto né gente. Ivan e io non andammo in vacanza, quell’anno. Maria stava sempre intabarrata nel giaccone blu chiuso fino al collo.

“Non hai caldo? Togliti la giacca” azzardai una sera, sicura della fiducia che si era instaurata tra noi.

“No, sto bene così. Non posso.”

“Perché non puoi? Almeno slacciala. Non voglio vederti sudare, rischi di ammalarti.”

Le notti di agosto sono dolci a Milano. Nel silenzio che seguì, Ivan si addormentò tra i bagagli lerci di Maria.

 

Martedì è giorno di mercato. Girai tra le bancarelle cercando qualcosa che potesse sostituire la giacca invernale di Maria: “se proprio deve stare chiusa dentro qualcosa, che almeno sia leggero” pensai. La sera arrivai trionfante alla panchina.

“Cosa ne dici di un bel soprabito di lino? guarda, è blu come il tuo giaccone...”

“Non posso toglierlo”, rispose lei stringendone un lembo sul petto, “i bambini scivolano via.” L’angoscia di Maria mi si appiccicò addosso. Inaspettatamente spiegò: “Qui dentro ci sono i miei bambini. Se li tengo stretti, stanno al sicuro.”

 

Vennero l’autunno e le prime piogge. Presi il coraggio a due mani e azzardai: “Se ti prometto di accompagnarti e di non lasciarti sola, verresti a vivere in una casa con persone che si prendono cura di te? penserò a tutto io, verrò a trovarti...” dissi d’un fiato. “Invece che sulla panchina parleremo sedute a un tavolo, al caldo...” Maria non rispose, mi guardò negli occhi e si chiuse nel giaccone blu.

 

Solita panchina, solita ora. “Maria non c’è, Ivan, alzati! ho freddo, andiamo a casa.” Puntuali, ogni notte ci fermavamo nella piazza. Il cane annusava l’aria. “Buon segno, sarà qui da qualche parte?” mi dicevo. Poi, sempre più inquieta, cominciai a chiedere in giro: “Ogni panchina è abitata, qualcuno saprà dirmi qualcosa!”

“La donna che stava lì?”, un vagabondo dal viso noto finalmente mi rispose: “non la vedo da tempo. Non so dov’è andata.”

 

La notte che Ivan passò con indifferenza davanti alla panchina capii che non l’avrei più rivista. Maria ci aveva lasciati. “E se avesse accettato di farsi salvare?”, più ci pensavo e più la speranza diventava certezza. La sua assenza siglava il nostro patto. Dove sei, Maria... 


Ed ecco cosa ci scrive Daniela dopo aver letto il racconto di Paola:


Cara Paola, anch'io ho conosciuto Maria e ho condiviso con lei qualche pasto, qualche pomeriggio, qualche pizzata e, finalmente, dopo un inverno gelido e nevoso, anche un percorso di accoglienza.

Anch'io ho provato a farle togliere quel lungo piumino blu o gli stivali in luglio.

Anch'io ho fatto domande banali e ricevuto risposte spiazzanti...

Peró io so dov'è Maria e come sta oggi.

Maria ha mantenuto la sua tacita promessa e ora non vive più in strada.
Il ricordo di Maria per noi "mamme della Bacone" é particolare e delicato e siamo anche un po' "gelosette". 
Non é stato facile vincere i pregiudizi ed abbiamo imparato a stare zitte soprattutto per proteggere lei. (Curiosi, giornalisti, fotografi...)
Ora mi sembra cosí  strano poterne parlare liberamente...

Una delle ultime volte che l'ho vista era la festa della mamma e lei aveva chiesto al suo educatore se poteva venire in Bacone a mangiare la pizza con le "mamme della scuola" (cosí ci chiamava...).
Alla fine della serata, l'abbiamo accompagnata alla 91 che l'avrebbe condotta a casa (abitava in Corvetto a quel tempo).
Ho ancora negli occhi la scena di lei che sventola la mano con la faccia attaccata al finestrino finché il filobus non é stato troppo lontano...